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domenica 6 aprile 2008

testo dell'intervento alla facoltà di lettere e filosofia di Roma Tre, venerdì 4 aprile 2008

La domanda nasce spontanea: che ci fa una medievista ad un dibattito sulla legge 194?

Ogni volta che scrivo qualcosa poi la testo sulle persone che mi sono più vicine; anche questi pochi appunti li ho fatti leggere a poche persone, e vista la reazione critica del tipo “ma che vai a fare una relazione storica in un dibattito sulla 194????” mi sono chiesta se per caso non avessi sbagliato qualcosa. A che può servirci una ricostruzione storica di quello che è accaduto tanti secoli fa... intanto secondo me potrebbe essere utile per capire se ogni volta quando tutti i giornali, di destra e di sinistra, a tutta pagina riferendosi a questioni etiche o a ingerenze del papa sul normale legiferare del nostro stato urlano “siamo tornati al medioevo... oppure abusano della parola anima, vita, citando a sproposito padri della chiesa e pontefici...” hanno ragione? Siamo tornati al medioevo? ecco, secondo me, se diamo per buona la definizione di Bloch della storia come “scienza dell'uomo nel tempo”, oggi ne possiamo usare un po’ per capire quali siano le premesse di quello che stiamo vivendo.
Cercherò di essere breve e chiara. Volevo seguire due filoni tematici distinti ma connessi fra loro … il primo è quello legato alla concezione di vita che il cristianesimo impose con forza sin dai primi padri della Chiesa. Vita umana che fu immediatamente legata alla presenza dell’anima nel corpo.
“Per la Chiesa l’uomo è tale perché caratterizzato dalla presenza dell’anima”.
Il secondo filone, che si intreccia inevitabilmente con il primo, riguarda quelle che con la vita ebbero sempre a che fare: le donne.
Nella nostra storia, quella dell’Occidente, per secoli legata a quella del cristianesimo e della Chiesa si assiste alla nascita e allo sviluppo “incredibile” di quella che Prosperi definisce una vera e propria ossessione cristiana, quella “dell’infanticidio”. E per infanticidio nei secoli del Medioevo si intese anche la pratica dell’aborto. Ossessione questa che portò al rogo di migliaia di donne.
Velocemente, già nei primi concili del IV secolo d.c., la donna che abortiva subiva la scomunica per 10 anni.
Nei penitenziali alto medievali, a partire dal VII secolo, vengono indicate punizioni differenziate per la donna che commette aborto volontario: penitenza più lieve se non ha ancora superato i quaranta giorni di gestazione. Colpevole di omicidio se li ha superati. Perché si fa strada questa distinzione? Per secoli e secoli le autorità a cui ci si rifece in materia di concepimento, animazione, sviluppo del feto, sviluppo fisico e mentale dell’essere umano furono Aristotele e Galeno.
Vi è infatti quello che, dai più, viene chiamato un primo cristianesimo aristotelico che si rifaceva al filosofo, il quale distingueva e teorizzava una evoluzione progressiva dell’embrione: che andava da uno stato vegetale ad uno legato al nascere delle sensazioni ad uno finale caratterizzato dalla comparsa dell’anima razionale. Solo al compimento di questo terzo passaggio il feto è formato.
è la presenza dell’anima razionale che lo rende “vita umana”.
Naturalmente dietro alle fonti cristiane c’è anche la bibbia ebraica dove la nascita dei figli viene vista come una “benedizione di dio”. Nell’originale ebraico si proponeva la pena del taglione a chi avesse fatto morire una donna incinta. Nella versione greca dei Settanta la pena si concentra sul feto ed era commisurata allo stadio di sviluppo del feto. Chi provocava l’aborto di un feto non ancora formato pagava una semplice multa in denaro; nel caso di un feto formato scattava la pena del taglione, “anima pro anima”. Insomma per la bibbia l’aborto non era un omicidio ma nella tradizione cristiana si ignorò il passo dell’Esodo e si accolse la versione dei Settanta con la sua concezione gradualistica della formazione del feto.
Fu con sant’Agostino che si impose l’idea dell’animazione successiva al concepimento: “il soffio dell’anima entra nell’embrione maschio al 40° giorno dalla fecondazione, e in quello femminile al 90°”. San Tommaso dirà “Dio introduce l’anima razionale solo quando il feto è un corpo già formato… tanto che dopo il giudizio universale, nell’ora della resurrezione gli embrioni non parteciperanno, in loro infatti non era ancora stata infusa l’anima razionale e pertanto non sono esseri umani”.
E per completare il giro: nel Talmud, il libro sacro dell’ebraismo la dottrina dice che l’embrione diventa gradualmente persona nel corso del secondo mese di gravidanza e nel Corano l’anima entra nel corpo tra i 40 e i 120 giorni dopo la procreazione.
San Tommaso quindi aveva già capito che un embrione non era un bambino in dimensione ridotta, ma completamente formato che semplicemente si ingrandiva fino a che non nasceva, ma un organismo che si sviluppava per gradi. Ha una concezione molto biologica della formazione del feto: Dio introduce l’anima solo quando il feto acquista, gradatamente prima l’anima vegetativa, poi quella sensitiva e solo a quel punto “in un corpo già formato” viene creata l’anima razionale. Quindi: l’embrione ha solo l’anima sensitiva.
La persona è intesa come “sostanza individua di una natura razionale”.
Cruciale, si è capito, per la Chiesa era capire quando l’anima entrava nel feto perché solo da quel momento aveva inizio la vita ed essendo questa un dono di dio, proprio da quel momento preciso ogni pratica abortiva si trasformava in omicidio.
Sino al 1500 una difficile ma esistente tolleranza e dunque pratica dell’aborto veniva legittimata se legata a problemi di salute della madre e se praticata entro certi termini, i famosi 40 giorni di Agostino e Tommaso … visto che l’anima, puntualissima, arrivava dopo tale giorno! Ma il clima cambiò presto.
Il problema dei feti abortiti per la Chiesa era grave: questi non avevano ricevuto l’anima. Dove andavano? Inizialmente all’inferno, dopo il concilio di Trento nel “limbus puerorum” (1546). Solo il rito battesimale poteva dare e salvare loro l’anima. Ma Paolo V aveva stabilito come momento insindacabile per amministrare il battesimo quella della nascita (nel famoso Rituale romano). Come fare allora?
Ancora nel 1589 il medico Gian Battista Codronchi si chiede: può un medico “licitamente provocar aborto?”. Sul piano generale la risposta fu negativa ma si lasciavano aperte porte per pratiche abortive direttamente controllate dal medico e cito: “ se probabilmente crede (il medico) non esser ancora infusa l’anima nella creatura potrà licitamente procurar l’aborto per conservar la vita della madre e perciò devesi sapere come il maschio nell’embrione in spatio di quaranta giorni si fa perfetto e la femina in ottanta e questo sia detto secondo l’opinione di tutti li dottori e sommisti”. Dunque ancora alla metà del XVI secolo entro quaranta giorni si poteva interrompere una gravidanza per motivi di salute legati alla madre.
Ma ad irrigidire ulteriormente il clima ci pensò Sisto V con la bolla Effraenatam (1588) nella quale scomunica tutti i medici che praticano aborti: sia che il feto fosse immaturo, non formato, inanimato e così via. Il papa volle addirittura in alcuni casi che “s’apponesse la pena di morte” per i procurantes abortum.
L’irrigidimento delle sanzioni a carico dei medici va di pari passo con l’esplosione dell’ossessione stregonesca: tutte quelle donne, levatrici erbarie… che per secoli si erano occupate indisturbate della nascita, della buona salute e della morte nelle campagne e nei borghi vennero accusate di malefici incredibili, primo tra i quali, come testimoniano i processi di inquisizione, è l’infanticidio.
Il culmine si raggiunse con Thomas Fyens, medico e filosofo di Lovanio (1567-1631) (famoso per essersi opposto alle scoperte di Copernico in nome dell’autorità di Tolomeo e della bibbia) che nel 1620 negò la teoria aristotelica di un’anima prima vegetativa e poi sensitiva a cui seguiva quella razionale, sostenendo che l’anima razionale, quella perfetta, veniva infusa da dio non oltre il terzo giorno dal concepimento, quando compaiono le membrane e si ha quindi prova che la virtù conformatrice è attiva. L’anima dunque, e questo è un passaggio fondamentale, preesisteva al corpo. Allora conseguenza naturale: ogni aborto era un omicidio. Non valeva più nessuna distinzione tra feti formati e non formati. Il cristianesimo aristotelico veniva completamente rigettato.
Questa tesi dell’animazione immediata dell’embrione portò a proposte estreme, come quella del 1658 di procedere al battesimo obbligatorio di tutti i feti abortivi. Formigoni deve averla letta e fatta sua!
Questi infatti da feti abortivi vengono trasformati in “homines dubii”.
Viene rovesciata di netto la sequenza corpo- e poi anima in anima- e poi corpo. Il divieto dell’aborto a qualsiasi stadio della gestazione aveva in questo modo a suo fondamento una teoria medico-teologica: quella dell’animazione immediata dell’embrione. Il Sant’Uffizio con Innocenzo XI (1676) stabilì che il concepito doveva essere considerato persona fin dal primo momento. Niente più 40 o 80 giorni.
Le conseguenze furono distastrose. Nel ‘700 con queste motivazioni si diffuse il taglio cesareo: fu il mezzo per salvare l’anima alla creatura. La salvezza dell’anima del feto spingeva ad un intervento sul corpo della donna gravida che riceveva l’adesione dello Stato. Estrarre le creature dal ventre e battezzarle appena in tempo. Certo le donne accoglievano con terrore le visite dell’abate e del medico che annunciavano loro la prossima morte.
La “vita dell’anima” fu il guadagno pagato con la morte fisica di gestante e feto. Nel 1680 viene istituita una vera e propria “polizia medica”, lo Stato si assumeva la difesa dei cittadini che erano ancora racchiusi nell’utero materno.
Così venne superato il problema del limbo!
E qui secondo me si interseca il secondo filone, quello della storia delle donne. Bisognerebbe partire dalla bibbia e da quella strana storia per cui noi fummo create da “una costola” dell’uomo, mai diverse… parti di esso. Ma sarebbe troppo lungo… è invece importante per capire come si arrivò a bruciare per mano delle autorità laiche migliaia di donne, perché la Chiesa “condannava, ma non uccideva”, comprendere cosa era accaduto nel medioevo. Nel secondo millennio si era attuato un passaggio pericolossimo ma fondamentale. è quello che porta da una colpa morale perseguita dalla Chiesa per esempio con la scomunica, la condanna al disonore, all’astinenza sessuale … al delitto colpito da leggi, ed è un passaggio dagli esiti cruenti sulle donne.
L’ispezione del corpo femminile divenne una procedura ordinaria. Accertato il reato seguiva una punizione durissima. Le donne accusate di infanticidio venivano impiccate, sepolte vive, bruciate, annegate in un sacco o impalate. A volte poteva capitare che venisse usata “misericordia” e sostituito il rogo o la sepoltura da vive con la decapitazione!
Intorno alla donne si stese una rete di sorveglianza a maglie fittissime. Il loro corpo era considerato un oggetto pericoloso che non apparteneva a loro ma ai loro mariti o, in loro assenza, alle autorità pubbliche.
L’aborto venne perseguito dalla Chiesa e punito dalle autorità laiche quale delitto indicibile “nefando”.
L’idea della Chiesa che il corpo della donna fosse strumento necessario per la riproduzione ma insieme realtà malefica e minacciosa passò dritta dritta nelle mani delle autorità laiche.

“è grave colpa perdere un’anima”, così recita la Chiesa
L’intervento della legge penale accanto a quella ecclesiastica risale a Luigi IX (XIII secolo). I toni si fanno drammatici e la gravità del reato si esaspera: le donne vengono accusate di essere adultere e di abortire per nascondere la loro colpa al marito. Facilità e libertà dei rapporti sessuali portava a gravidanze non volute e alla pratica dell’aborto.
Dunque “madri crudeli” già per la Chiesa punite ora dalle autorità pubbliche: si crea un legame pericolosissimo tra corpo politico e corpo femminile: l’onore della donna si lega all’onore della città, il disordine delle famiglie delegittima lo Stato. La soluzione era una sola: incanalare la sessualità nella famiglia. Furono create istituzioni di controllo e per la donna adultera ci fu la sanzione penale (non morale come per l’uomo) ed il marchio del disonore.
Questa ossessione di una sessualità slegata dalla famiglia e dunque dalla riproduzione legata alla pratica dell’infanticidio, termine nel quale si comprende l’aborto volontario, si lega saldamente all’emergere dell’ossesione stregonesca.
La prima età moderna si connota per un’intensificata sorveglianza della vita sessuale delle donne: fu imposta una rigida canalizzazione della riproduzione della specie all’interno della famiglia come istituzione e tutti i rapporti non tutelati dal matrimonio vennero criminalizzati.
Tutto ciò che svincolava i rapporti, non so se a questo punto usare il presente invece dell’imperfetto, che svincola i rapporti sessuali dal “per tutta la vita” e dalla “riproduzione biologica” o forse meglio “dalla riproduzione biologica per tutta la vita” doveva, deve essere eliminato con violenza. Questa matrice sessuofobica della Chiesa su cui non mi dilungo mi fa solo pensare che il nocciolo della questione sia proprio lì. Nella sessualità intesa come identità e poi come libertà.
Madri e mogli, ancora oggi per la Chiesa e a questo punto non solo, le donne sono questo. Ma dri e mogli. E la vita è dolore. Del resto il cardinal Ruini non troppo tempo fa ci ha spiegato sulla gran parte dei nostri quotidiani che
«Una cultura in cui il dolore non ha senso, la sofferenza viene negata, la morte emarginata, non può comprendere il cristianesimo. Che resta pur sempre la religione della croce».
Sarà che questa legge ci aveva tolto un po’ di croce di dosso?

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